domenica 8 settembre 2013

Amélie Nothomb a Roma


Mercoledì 10 aprile 2013. Incontro con Amélie a San Luigi dei Francesi e proiezione del documentario-ritratto AMELIE NOTHOMB, UNE VIE ENTRE DEUX EAUX’ che parla del suo ritorno in Giappone.

Andando a San Luigi dei Francesi mia madre incontra sull’autobus Daniela Di Sora, la fondatrice delle casa editrice Voland che pubblica  da sempre Amélie Nothomb. Grazie a lei superiamo la fila e occupiamo i posti riservati. Io siedo in prima fila, a un passo dalla ‘star’ che presto salirà sul palco.

L’attesa fa salire l’eccitazione, c’è movimento, la gente già seduta chiacchiera per ammazzare il tempo. Non tutti avranno la fortuna di entrare perché non ci sono abbastanza posti. Motivi di sicurezza non lo permettono.

A un certo punto intravedo una slanciata figura in nero dal passo elegante. È lei!
Dal cappotto nero sbuca una gonna color ciclamino. Viso bianco, labbra rosse, lunghi capelli scuri tenuti da un fermaglio precisamente orizzontale sobrio ed elegante, in perfetto stile Nothomb.

Appena entra non le fanno subito l’applauso e lei è quasi sorpresa. Ma la curiosità è così forte e la gente non osa applaudire. Parte l’applauso. Ecco, ora lei si può sedere contenta.

Ci sono quattro donne: all’estrema sinistra l’intervistatrice, poi Amélie, Laureline Amanieux (autrice del film documentario nonché sua cara amica) e infine l’interprete. Mentre l’intervistatrice la introduce brevemente lei mi guarda dritto negli occhi. Ha scelto me, io ho attratto la sua attenzione più degli altri.

Si parla subito di ‘Barbablù’, il suo ultimo romanzo. Il suo romanzo ha la funzione di riscattare i personaggi del Barbablù di Perrault, di rendere giustizia a delle donne troppo stupide vittime di un uomo troppo cattivo. Il protagonista è un nobile spagnolo proprio per contrasto all’Enrico VIII Tudor al quale Perrault si era ispirato. Secondo lei non c’è uomo più diverso da un inglese di uno spagnolo.

Il tema principale è quello del segreto la cui legittimità non necessita spiegazioni, sostiene. Un segreto è segreto e basta. Tutti i segreti sono importanti allo stesso modo.

E proprio per non svelarci segreti sul segreto di Barbablù, Amélie risponde con una saggezza ironica e brillante, sempre concisa ed efficace. È abituata ad essere intervistata e a essere tradotta dall’interprete, è a suo agio sul palco.

Si parla di identità. Figlia di diplomatici belgi, nata in Giappone, trasferitasi in Cina a cinque anni e poi in tanti altri posti, a che luogo appartiene? La sua identità non è chiara, neanche a lei stessa. Per lungo tempo, pur vivendo in Belgio, si sentiva giapponese. Per questo a ventuno anni, appena laureata in filologia romanza, ha deciso di tornare in Giappone, il luogo della sua prima infanzia, dell’età della vita che forse l’ha segnata di più.

La prima infanzia è infatti il momento più importante anche da un punto di vista linguistico: il bambino assorbe i vocaboli che sente con una velocità e voracità sorprendenti. Ed è proprio il linguaggio infantile quello al quale lei si rifà mentre scrive.

Eppure in Giappone lavorando per un’azienda cade vittima di un ferreo sistema di regole spesso eccessive e vuote. L’esperienza lavorativa giapponese la segna
a tal punto da farle ‘partorire’ ‘Stupore e Tremori’, uno dei suoi romanzi più riusciti, forse proprio a causa della sofferenza che l’ha nutrito.

Questa esperienza non è totalmente negativa, perché Amélie, dopo aver superato soprusi di vario genere, si rende conto di due cose fondamentali: di non essere giapponese e di volersi dedicare alla scrittura per il resto della sua vita.

Parallelamente a questa esperienza nell’azienda, Amélie vive una grande storia d’amore con un giapponese che inizialmente doveva essere solamente un allievo a cui dare lezioni private di francese. La loro storia d’amore è raccontata in ‘Né di Eva né di Adamo’, un romanzo pieno di energia e spiritualità.

Amélie, di fronte alla proposta di matrimonio del giapponese Rinri, scappa. Se ne torna in Belgio dall’amata sorella. Non c’è cosa che la spaventi di più della mancanza di libertà. Amélie, come non appartiene a nessun luogo, non appartiene neanche a nessuna persona, né donna né uomo.

Tuttavia, ad un certo punto Amélie ha accettato la sua ‘belgità’. Si è riconosciuta nella fluidità del governo belga. Il Belgio è stato circa due anni senza governo e se l’è cavata, c’è speranza anche per l’Italia allora! é un paese giovane e che non si sa quanto durerà. Si tratta di un paese immancabilmente paragonato alla Francia grandiosa. Un paese ‘non-paese’ perfetto per una come lei.

Amélie non si fa tarpare le ali da nessuno, vola attraverso la scrittura. La scrittura sono le sue ali e da sempre la sua unica certezza in questo mare di internazionalità alla quale è stata costretta sin da piccola.

Imprigionata a pulire i bagni dell’azienda giapponese, trovava la sua salvezza nella defenestrazione: immaginava di lanciarsi da quelle grandi vetrate tipiche dei grattacieli. Ma non si trattava tanto di disperazione, quanto di desiderio di libertà.

Il suo spirito ribelle si notava sin da quando, pur figlia di genitori conservatori e cattolici, frequentava un’università di sinistra. Lei non sembra essere cattolica, eppure, quando le viene chiesto dove pensa di conservare i manoscritti non pubblicati (ha scritto circa 75 libri di cui solamente 21 sono stati pubblicati), dice che il posto più sicuro le sembra proprio la Biblioteca Vaticana.

Finita l’intervista/dibattito, Amélie si presta ad autografare i suoi libri. Corro a fare la fila al piano di sopra, con tutti i suoi libri che ho letto nella borsa. Mia madre nel frattempo mi ha comprato ‘Barbe bleue’, stavolta ho deciso di leggerla in francese.

Arrivata da lei, sono talmente agitata che non le dico niente, le porgo soltanto i libri. Mi chiede come mi chiamo e quante lingue parlo. Italiano, francese e inglese, rispondo. Lei mi fa una dedica in italiano, una in francese, e una in inglese, una per ogni lingua. In un’altra ancora scrive il suo nome addirittura in caratteri giapponesi.

Alle nove comincia la proiezione del documentario girato su di lei e in particolare sul suo ritorno in Giappone. La regista di questo film è una sua carissima amica francese. Non sarebbe riuscita a rivelare ‘i segreti’ del film se non a una persona verso cui nutre un affetto così profondo e trasparente.

Il documentario ci ripropone una carrellata di scene estremamente rappresentative e colorite. Si passa dalla commovente scena del rincontro dopo anni con la sua tata giapponese, la sua ‘Nunu’, che era per lei una seconda (o forse prima?) mamma, ai lottatori di sumo, emblema giapponese nonché contrasto con l’anoressia di cui Nothomb soffriva da ragazza. Vi è addirittura una scena in cui Amélie riproduce l’’antimelodico’ canto giapponese al quale il padre, quando viveva in Giappone, si dedicava dalle cinque di mattina tutti i giorni prima di andare a lavoro, sotto la guida di insigni maestri.

Forse è proprio l’esempio paterno che l’ha portata a sfruttare anche le primissime ore del giorno. Amélie infatti, da molti anni ormai, si dedica alla scrittura di mattina dalle quattro alle otto, dopo aver bevuto tè scuro, secondo il costume giapponese. Questa procedura si ripete puntualmente ogni giorno, anche in viaggio.

Forse, Amélie, bevendo tè continuamente, spera di ricongiungersi con l’elemento che le corrisponde di più: l’acqua.

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